“Se prima eravamo in due” di Fausto Brizzi è un testo di 120 pagine che sintetizza magistralmente il desiderio, la ricerca spasmodica e poi (finalmente) l’arrivo di un figlio. E tutto cambia. Lo sapevate che la crisi post partum possono averla anche i papà? Leggendo questo libro scoprirete questo e non solo
Se pensate che i libri di Fausto Brizzi siano una marcetta di ovvietà vi sconsiglio di leggere questo pezzo. In caso contrario, proseguite pure.
Ho letto per caso “Se prima eravamo in due”. Dentro un pomeriggio afoso, con il mio bambino più nervoso del solito, decido di rifugiarmi da Feltrinelli.
Una volta lì, trafelata, prendo a casaccio un libro nello scaffale delle novità. Lo leggo d’un fiato. Ci metto un’ora, un’ora e mezza al massimo. Mentre leggo sorrido, annuisco, sul finale mi scendono pure due lacrimucce.
Nel frattempo sciolgo la tensione della canicola, mista alla stanchezza di aver tenuto in braccio per ore e ore il mio bambino. Mi sento stranamente serena, di una serenità senza perché.
I libri, tutto sommato, questo dovrebbero essere: datori di piccole felicità, che incrociano le corse del quotidiano.
“Se prima eravamo in due” è un romanzo acuto. Penso sia il romanzo di tante coppie di oggi. Lui cinquantenne, lei una decina di anni in meno, decidono, a un certo punto, di mettere in cantiere un figlio.
Il primo mese, il secondo, il terzo. Passa un anno ed il cucciolo non arriva. Problemone! Ci sarà qualcosa che non va?
Iniziano le trafile dai ginecologi, gli amplessi rigorosamente affidati al sorrisetto di un aggeggio diabolico, gli integratori a basa di maca e tante altre stregonerie, che sono ben note alle coppie che ardono dalla voglia di un vagito.
Finalmente le due lineette rintracciano la vita dei coniugi Brizzi (il romanzo è autobiografico) e lì parte un’altra catapulta infernale.
La scelta del ginecologo giusto (forse meglio sceglierne due, addirittura tre, se non quattro, a patto che ciascuno pensi di essere il solo deus ex machina di tutto l’ambaradan), la giusta alimentazione, la googlemania, ossia la consultazione ossessivo compulsiva di Google a ogni minimo prurito dalla pancia in giù.
E poi la scelta del nome, del cognome (meglio quello doppio?) della tata (la strafiga Kimberly, che per la moglie di Brizzi però è una biondina che non sa di niente a riprova del fatto che noi donne, spesso, ne capiamo poco o nulla in tema di appetiti dei nostri uomini).
Quindi il grande giorno che, manco a dirlo, non è assolutamente per come ce lo si era immaginato. La moglie del buon Brizzi (per chi non lo ricordasse è Claudia Zanella, l’ormai famosa vegana del precedente libro n.d.r) aveva programmato tutto a puntino: gli esercizi di rilassamento, le vocali pronunciate a grossi fiati per esorcizzare il dolore, le posture adatte per un parto a sofferenza zero.
E poi…urla, strepiti e “stronza drogami subito”. Cesareo urgente e d’un botto esce la piccola Penelope, detta Penny. Da lì inizia la grande avventura. E non raccontiamo di più perché il libro va scoperto, sorseggiato e gustato magari in una giornata di sole come questa.
Si sorride tra pagine di facile lettura, che non scadono mai nella banalità. Si parla di un’illustre sconosciuta, la depressione post partum declinata alla voce “papà”, ed anche di notti insonni, di prime parole e sul finale il capitolo più dolce, quello dedicato ai nonni.
“La felicità: parlare del più e del meno con i propri nonni”, dice Brizzi parlando dei suoi angeli custodi, gli stessi che gli regalarono il privilegio: dopo la sua nascita decisero che di mestiere avrebbero fatto solo i nonni. Buona lettura.
Scheda del libro: Se prima eravamo in due, Fausto Brizzi, 120 pp, editore Einaudi, Euro 13.