Mamma-figlio, “attaccamento” speciale che non fa mai male

mamma figlio attaccamento speciale

“Fa più male avere figure intrusive, non esistono regole sul terreno affettivo” spiega la psicologa Laura Micchichè, che aggiunge: “I genitori sono un modello per regolare le emozioni”

Esiste un confine sottile tra l’amore e i suoi opposti. Tra l’attaccamento e la disperazione. Lo dice la cultura sciamanica e si riferisce soprattutto alle dinamiche in cui esordisce la vita. La mamma che attende suo figlio con un desiderio ancestrale. Il piccino che viene alla luce indifeso ma caparbio. Lui che esige tutto e i genitori che, lì per lì, sono come due stranieri, sebbene si trovino in una terra familiare.

Le dinamiche dell’attaccamento con la new entry sono fondamentali per una serena costruzione della nuova famiglia. Queste iniziano da subito, dal primo vagito del bebè. E non c’è da preoccuparsi se, lì per lì, i genitori si sentano disorientati, arrivando a provare financo sentimenti di pseudo rifiuto o, al contrario, maturando un’eccessiva simbiosi con il piccolo.

Per comprendere come nasce e si “costruisce” il legame con il piccino, abbiamo chiesto il parere di Laura Miccichè, psicologa sistemico relazionale a Palermo.

L’attesa, le ansie, gli entusiasmi. Arriva il grande giorno ed ecco il piccolo tra le braccia. Cosa succede nell’istante esatto in cui si diventa mamme e papà?

Lì per lì accade una gran confusione. Anzi sarebbe meglio dire con-fusione (e non a caso usiamo il trattino). La coppia in un certo senso si fonde con una terza persona. Da lì scaturisce anche tanta paura. Il bambino ha un totale bisogno di cure e noi dobbiamo poterle offrire.

La richiesta attiva nel bambino il sistema di attaccamento, la nostra offerta attiverà il sistema di accudimento. Un bilanciamento equilibrato tra domanda ed offerta sarebbe l’optimum, ma raramente accade.

Una richiesta così totalizzante può spaventare, far sentire impotenti. Consoliamoci pensando che non esistono genitori infallibili e che non sarà una richiesta non del tutto soddisfatta a incrinare l’equilibrio emotivo del nostro piccino. È un cammino lungo, che si percorre cercando di fare ogni giorno un po’ meglio.

L’attaccamento mamma figlio, quando inizia e che dinamiche rispetta, se le rispetta?

L’attaccamento inizia subito e si evolve, cresce e si auspica diventi maturo. C’è chi sostiene che questo processo duri dai 3 ai 6 anni. C’è chi dice che si prolunghi per tutta la vita.

Quando si parla del terreno affettivo non esistono regole. I genitori, tuttavia, non sono i soli responsabili di questo processo di attaccamento. Spesso intervengono altre figure gregarie, che possono sostituire o coadiuvare quelle genitoriali, qualora queste, per una ragione o per un’altra siano del tutto o parzialmente assenti.

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Intorno ai neo genitori orbita un micro (macro) cosmo fatto di nonni, zii, parenti e amici. Queste figure come devono collocarsi nelle prime fasi di attaccamento con il bambino?

 Non è un male che vi siano figure a sostegno dei neogenitori. Avere un aiuto anche solo a cambiare un pannolino, può essere gran cosa in un momento tanto impegnativo.

L’importante è che siano rispettati i ruoli, gli orari imposti dai genitori per le visite e che non si diano consigli non richiesti. A buone dosi, è bene aprire il cosmo del nuovo nato a chi gli vuole bene (e non si tratta solo dei genitori).

Quando queste figure di sostegno mancano ci si adeguerà ugualmente. Non è la fine del mondo. I genitori sapranno sostituire gli assenti e il bambino potrà percorrere ugualmente le sue tappe.

Si legge, soprattutto in rete, di un neologismo, mindful, che starebbe per la consapevolezza di valutare gli stati emotivi attraversati e di riconoscerne, volta per volta, i significati, così da agire di conseguenza. Una sorta di competenza emotiva. Quanto questa “abilità” influisce in un buon processo di attaccamento mamma – figlio?

Il concetto di mindfulness si cala, eccome, nelle dinamiche dell’attaccamento. Mindful vuol dire stare concentrati sulla sensazione che si vive in quel momento e sulla percezione che si ha in quell’istante. Se noi stiamo allattando dobbiamo stare concentrate sul fatto che stiamo allattando. Se noi, in quel preciso istante, azzeriamo gli altri pensieri, possiamo offrire al bambino una relazione migliore.

Nel sistema di attaccamento quello che il bambino impara da noi non è solo sentirsi voluto bene, ma impara anche la regolazione emotiva. Noi siamo un modello per la regolazione delle sue emozioni.

Noi siamo quelli che, tecnicamente, sono definiti i neuroni specchio (che sono una classe di neuroni che si attiva quando un individuo compie un’azione e quando l’individuo osserva la stessa azione compiuta da un altro soggetto). Non dimentichiamocene mai.

Un eccessivo attaccamento può fare male ai figli?

Amare tanto non fa mai male. Troppo attaccamento fa male? Direi che fa più male avere figure intrusive. Genitori che occupano spazio nei pensieri del figlio e che non gli consentono di avere autonomia nei pensieri stessi. Non è l’attaccamento in sé che può nuocere, anzi.

Capita, purtroppo non di rado, che i papà non siano presenti nella vita dei figli (separazioni, rifiuti, coppie che scoppiano con l’arrivo del nuovo venuto). Cosa fare in questi casi?

La figura paterna è fondamentale per lo sviluppo emotivo di un bambino e quindi la sua assenza può creare conseguenze importanti nell’evoluzione psicologica dei figli. Inutile dire che si auspica sempre che un bimbo possa contare sia sulla mamma che sul papà.

Non esiste madre che, per quanto volenterosa e “competente”, possa essere anche “padre”. Non soffermiamoci tanto sulle singole istanze che la psicoanalisi descrive in merito all’assenza paterna e alle ripercussioni di questa.

Pensiamo più positivamente che, per ogni mancanza, esistono soluzioni di gregarietà poste in essere, in primis, proprio da chi la mancanza la subisce. La vita non solo andrà avanti ugualmente, ma potrà anche progredire con serenità.

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