«È un test di screening del primo trimestre di gravidanza che consente di ottenere un rischio personalizzato di anomalie cromosomiche. La più nota è la sindrome di Down… Va eseguito da un ginecologo esperto e con un ecografo ad alta definizione». Lo spiega Sergio Di Leo, ginecologo specializzato in Tecniche ultrasonografiche nel campo dell’ostetricia e della ginecologia
Quando il test di gravidanza è positivo ecco un momento di indescrivibile gioia… e comincia il meraviglioso viaggio della gravidanza. Subito l’esame del sangue per valutare la Beta HCG, la prima visita dal ginecologo per vedere se il cuoricino batte ma si attende con ansia l’ecografia del primo trimestre, l’ultrascreening; l’esame che dà ai futuri genitori informazioni dettagliate sul proseguimento della gravidanza.
Di solito le donne la vivono con patema d’animo perché questa ecografia permette di sapere se esiste un rischio di patologie cromosomiche. Insieme a Sergio Di Leo, ginecologo specializzato in Tecniche ultrasonografiche nel campo dell’ostetricia e della ginecologia e perfezionato in senologia, vi vogliamo dire tutto ciò che c’è da sapere su questa ecografia.
Dottor Sergio Di Leo cosa è l’ultrascreening e quando va fatto?
«È un test di screening del primo trimestre di gravidanza che consente di ottenere un rischio personalizzato di anomalie cromosomiche. Quelle che possono essere individuate sono la trisomia 21 o sindrome di Down, la trisomia 18 o sindrome di Edwards e la trisomia 13, conosciuta come sindrome di Patau.
Per la sindrome di Down esiste una ereditarietà familiare. È un esame non invasivo ed è economicamente abbordabile. Questo tipo di ecografia si fa dalla 11esima settimana di gestazione e 4 giorni alla 13esima e 6, ma è importante la dimensione dell’embrione che deve andare dai 45 mm ai 78.
Si tratta di un test assolutamente statistico, chiariamo subito questo concetto perché spesso la paziente pensa di avere risposte sui cromosomi dell’embrione, non è così, infatti si avrà una statistica sul rischio che la coppia ha di avere una cromosomopatia. Gioca un ruolo importante l’età, infatti, una donna di 40 anni ha un rischio più alto rispetto a una donna di 18 anni. Per dare un po’ l’idea una quarantenne può avere un rischio di 1 su 60, una diciottenne di 1 su 2000».
Viene comunemente chiamato anche Bi Test, perché?
«L’ultrascreening prende anche il nome di test combinato o bitest, in quanto consiste nell’unione dei risultati di due diversi test. Un’analisi del sangue per verificare il dosaggio di Beta HCG e PAPP-A, che sono due sostanze prodotte dalla placenta e la translucenza nucale, una particolare ecografia grazie alla quale è possibile misurare lo spessore della plica nucale del feto».
Cosa si intende per Translucenza nucale?
«Si intende lo spessore a livello nucale. Cioè negli embrioni che hanno un rischio elevato o che sono affetti da cromosomopatia questo spazio di solito è più ampio rispetto a chi non ha problemi. Misurare lo spessore bene è fondamentale ed è molto indicativo.
Pertanto questo esame deve essere fatto da un ginecologo esperto che è stato appositamente formato, va fatto con un ecografo ad alta definizione perché bisogna andare a studiare appunto la translucenza nucale».
Quanto è affidabile l’ ultrascreening?
«L’affidabilità statistica dell’ultrascreening è del 90-95%, quindi abbastanza alta però è un test che ha i falsi positivi che si assestano al 3% circa. In questi casi il feto è sano ma l’ultrascreening documenta una probabilità che non lo sia».
Se da questo esame si riscontrano anomalie la coppia cosa deve fare?
«Nel caso di un risultato positivo la coppia deve fare altre indagini e quella più sicura è l’amniocentesi che offre il quadro dei cromosomi, ovvero dà la mappa cromosomica del figlio. Si tratta di una procedura che consente il prelievo trans addominale di liquido amniotico dalla cavità uterina; viene fatta gratuitamente dopo i 35 anni e se lo screening risulta positivo»..