Epilessia e convulsioni, il neuropsichiatra sa cosa fare

Epilessia e convulsioni

I prematuri hanno bisogno di un’assistenza post natale con esami e visite costanti. Nei casi di episodi convulsivi è bene recarsi subito al pronto soccorso. «Il neuropsichiatra è un buon interlocutore, – spiega Emanuele Trapolino, direttore dell’unità di Neurologia e day hospital del Di Cristina a Palermo -, con il quale scoprire insieme problemi o patologie che, se individuati in fretta, possono avere un nome ed esser presi di petto». Insomma è il caso di dire che il neuropsichiatra è un amico dei bambini

Nel reparto di neuropsichiatria del Di Cristina di Palermo passano ogni anno più di 2500 pazienti. Sono bimbi e ragazzi di tutte le età: dai primi mesi di vita, fino all’adolescenza inoltrata.

È un reparto che si riesce a capire solo se lo si conosce da vicino. È un mondo complesso quello dello neuropsichiatria dell’infanzia. È fatto di segni ora eloquenti, ora solo accennati, di sintomi da decodificare, ma anche di assenze e di silenzi.

Le corsie pullulano di pazienti, perché le patologie neuropsichiatriche sono tante e spesso sono difficili da diagnosticare.

Al Di Cristina di Palermo, un veterano della materia è il dottore Emanuele Trapolino, neuropsichiatra e direttore dell’unità di Neurologia e day hospital. Con lui – e con i praticanti del reparto – abbiamo fatto una chiacchierata, per capirne di più in merito a una materia che, tuttora, è densa di chiaroscuri.

Dottore, non deve essere semplice occuparsi di “pazientini” di interesse neuropsichiatrico. Ci racconti chi è oggi il neuropsichiatra infantile.

«È anzitutto un professionista che non deve fare paura. Anni fa, forse per via di retaggi culturali del tempo che fu, si pensava che fosse il depositario di una qualche forma di disastro. Oggi le cose sono cambiate.

Il neuropsichiatra è un buon interlocutore con il quale scoprire insieme problemi o patologie che, se individuati in fretta, possono avere un nome e quindi esser presi di petto».

Quali sono le patologie neuropsichiatriche più diffuse tra i neonati?

«I piccolissimi che transitano in neuropsichiatria spesso non presentano un quadro patologico, ma più semplicemente una sintomatologia che potrebbe farlo sospettare».

Ci faccia qualche esempio.

«Ai neonati possono capitare degli episodi convulsivi non patologici, che fanno pensare a un episodio epilettico. Spesso per fortuna non è così».

Cosa succede di preciso?

«Capita, per fare qualche esempio, che per via di un evento febbrile o di un rigurgito strozzato in gola si presentino sintomi simili alla crisi epilettica: ipertono (il bimbo diventa rigido), occhi sbarrati, incoscienza.

Qualora si verificassero episodi del genere, è importante non perdersi d’animo e non tentare soluzioni “fai da te”: mani in bocca nel tentativo di trattenere la lingua e altri rimedi “antichi”, peggiorano le cose.

È sempre opportuno andare al pronto soccorso pediatrico. I medici, dopo i dovuti controlli, provvederanno all’eventuale trasferimento in reparto di neuropsichiatria».

Una volta arrivati in reparto, a quali indagini saranno sottoposti i “pazientini”?

«Anzitutto i medici effettueranno un esame obiettivo delle condizioni del piccolo. È importante che i genitori cerchino di ricordare quanto più possibile i dettagli della crisi.

Dalla descrizione, il neuropsichiatra potrà già iniziare a formulare delle ipotesi diagnostiche. Quindi il piccolo sarà sottoposto agli esami ematochimici e strumentali.

In reparto disponiamo di elettroencefalogramma (che serve, in buona sostanza, a valutare l’attività elettrice del cervello), di tac e di risonanza magnetica.

Effettuiamo anche la valutazione dei potenziali visivi e di quelli uditivi. Una combinazione di accertamenti, che spesso non si spinge mai fino a quelli maggiormente invasivi, servirà a dare risposte chiare ai genitori».

Se si dovesse arrivare alla diagnosi di epilessia, come ci si dovrà comportare?

«Anzitutto è bene fare delle opportune precisazioni. Esistono diverse tipologie di epilessia. C’è quella su base genetica, con la quale si dovrà convivere, quella che è concausa di altra patologia organica (le neoplasie neurologiche per esempio) e ancora le forme benigne, che tenderanno a scomparire nel tempo.

I neonati possono presentare crisi epilettiche dovute a traumi pre, peri e post natali. In questi casi occorre un monitoraggio a breve e lungo termine, al fine di verificare le evoluzioni».

Quindi un bimbo che nasce, ad esempio, prematuro o con una grave crisi respiratoria o peggio in arresto cardiaco, non è detto che debba avere conseguenze neurologiche permanenti?

«È fondamentale l’assistenza post natale, con trasferimento nell’unita di terapia intensiva neonatale. Saranno centrali i primi soccorsi, il decorso immediatamente post natale e la serie di accertamenti neurologici, ormai di routine nelle Utin.

Dopodiché sarà necessario un follow up nel tempo, sicuramente entro i primi dodici mesi di vita del bambino, che prevede una serie di esami strumentali, tra i quali i già citati elettroencefalogramma e i potenziali uditivi e visivi (tutti esami non invasivi).

Quando parliamo di questi neonati, è indubbio che occorre un’attenzione maggiore ai sintomi, senza tuttavia cadere nell’apprensione paralizzante. Può succedere che bambini nati in sofferenza non riportino alcuna conseguenza né nel breve né nel lungo termine».

Quanto è importante per un medico la “semplice” osservazione del neonato?

«È fondamentale. Dai movimenti “liberi” del piccolo non solo si riescono a capire molte cose, ma se ne riescono a prevedere tante altre. Ho fatto un master a Pisa centrato proprio sull’osservazione dei movimenti spontanei del neonato.

Esistono segni neurologici minori, che se evidenziati e monitorati nel tempo, possono aprire la strada alla diagnosi di patologie neurologiche importanti».

Che progressi si sono fatti nella diagnosi e nella cura dell’epilessia?

«In termini di diagnosi, oggi rispetto a ieri, disponiamo di strumentazioni all’avanguardia, ma anche di esami ematochimici che, studiando alcuni panel genetici, possono rivelare la malattia precocemente.

In termini di terapia, quella d’elezione rimane la benzodiazepina, che ha il compito di “calmare” la crisi. Cosa fondamentale, poiché una crisi prolungata potrebbe avere conseguenze gravi».

Cosa devono fare i genitori durante una conclamata crisi epilettica del loro bambino?

«Per un genitore, ogni crisi è spesso come se fosse la prima. C’è la paura e lo sgomento dovuti a dei sintomi eloquenti.

Si provvede di solito alla somministrazione di farmaci a base di benzodiazepine per via rettale, così da interrompere la convulsione. Quindi si deve andare al pronto soccorso. Ovviamente ci sono le terapie a lungo termine, che servono a prevenire gli episodi epilettici».

Si può convivere con l’epilessia?

«Essere epilettici non è facile, ma oggi si può vivere in maniera adeguatamente serena. Esistono farmaci e sostegni clinici tali da consentire una vita tutto sommato simile a quella di chi epilettico non è. Lo stesso dicasi in termini di aspettativa di vita».

Parliamo di crisi convulsive negli adolescenti. In reparto ve ne sono molti. Si tratta sempre di crisi vere e proprie o spesso si sfocia nella patologia ansiogena?

«Nella mia esperienza medica quotidiana, una delle cose che mi sta più a cuore è la conversione somatica. Attraverso il corpo, o meglio attraverso una serie di sintomi “imposti” al corpo, stiamo lanciando dei messaggi che vanno decodificati.

Noi seguiamo ragazzi fino a 18 anni e capitano anche le esibizioni comportamentali a fini dimostrativi. In poche parole il sintomo vuole dirci altro, vuole arrivare ad altri obiettivi.

Quindi occorre una dialettica accurata tra attore (il paziente) e l’interlocutore (il medico). L’adolescenza – e il luogo non troppo comune lo recita da sempre – è un’età difficile. Possono capitare delle simulazioni, che vanno interpretate bene al fine da aiutare i pazienti.

Da parte di noi medici occorre offrire un approccio al disagio, tradurlo e trovare delle soluzioni. Occorre precisare anche che, proprio nell’adolescenza, possono verificarsi delle vere crisi epilettiche transitorie o ancora delle manifestazioni convulsive che possono essere spie di altre patologie, ad esempio malattie autoimmuni.

È sempre opportuno non avere fretta, non arrivare a conclusioni liquidatorie e sommare le osservazioni cliniche alle evidenze strumentali».

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