Il neonato piange? Ecco come interpretarlo

il neonato piange: ecco come interpretarlo

Il neonato piange: ha fame, ha sonno, ha freddo? Tante le domande dei genitori. Se non si ascolta sarà un bambino che col tempo si abituerà a non chiedere, perché sa che nessuno risponderà». Quando il neonato piange vuole sempre comunicare qualcosa, quindi è importante osservarlo 

Il neonato comunica con il mondo esterno attraverso il pianto, quindi le mamme sanno bene che il loro bebè piangerà più volte al giorno, ma la teoria, si sa, è ben diversa dalla pratica e quando arrivano i primi gemiti, strilli più o meno continui e prolungati i genitori vanno in tilt.

Come si interpretano i pianti? Ci aiuta a capire meglio come si esprimono e quindi come comprendere i neonati Sergio Conti Nibali, pediatra, responsabile Gruppo Nutrizione dell’ Associazione Culturale Pediatri (ACP), direttore della rivista Un Pediatra Per Amico (UPPA).

Dottor Sergio Conti Nibali… intanto per confortare i genitori il pianto è fisiologico?

«Il neonato comunica sin dalla nascita; sempre. Uno dei suoi versi è quello che noi chiamiamo pianto; è certamente la modalità più estrema con la quale ci comunica che c’è qualcosa che non gli piace.

Il pianto appena fuori dal canale del parto non è forse già un modo per far capire che c’è una antipatica differenza tra il calduccio del liquido amniotico e l’improvviso freddo della sala parto?

Che farebbe un adulto se lo tirassero fuori dalla doccia calda sotto la quale si stava rilassando senza avere a disposizione un morbido telo che lo avvolge, a maggior ragione se non aveva mai provato un’esperienza simile? Certamente esprimerebbe forte il suo disappunto.

Ma se il bambino viene subito ben asciugato e posto sul seno caldo della mamma smette immediatamente di piangere perché si sente compreso e soddisfatto nella sua richiesta di aiuto».

Come si può interpretare il pianto del neonato? Che strumenti ha la mamma per scoprire questo linguaggio del neonato?

«Il neonato va osservato; tanto più la mamma e il papà l’osservano, tanto più risponderanno alla sue richieste, tanto meno lui avrà bisogno di lanciare segnali d’allarme; e per lui il pianto lo è.

Ad esempio, se la mamma lo accoglie tra le sue braccia per allattarlo quando vede che il bambino mostra i segnali di fame, allora è certo che lui non arriverà al pianto; se, mentre dorme tranquillo nella sua culletta si sveglia e, non ritrovando la mamma, comincia ad agitarsi e qualcuno lo solleva e lo coccola, non ci sarà motivo che pianga.

Difatti i bambini che vengono tenuti in fascia, a stretto contatto col corpo della mamma (o del papà) piangono molto di meno dei bambini tenuti in carrozzina».

Il pianto del neonato: inconsolabile, continuo, con tremore, sommesso, accompagnato da movimenti che irrigidiscono il corpicino. Sono indicativi di differenti fastidi?

«A volte il pianto può essere espressione di un dolore non sopportabile; neppure le coccole più dolci riescono a consolare il bambino. Un pianto inconsolabile che dura più di mezz’ora o più di 3 ore nel corso della giornata deve fare escludere patologie organiche, che per fortuna sono molto rare.

Ma dobbiamo realmente prima domandarci se abbiamo veramente pensato a venire incontro alle esigenze del bambino; che non sono solo fame, caldo, freddo e panno sporco.

A volte, ad esempio, i bambini piangono perché lottano per non addormentarsi; sono talmente attratti dal mondo circostante che, pur desiderosi di sonno, tentano di restare svegli; se la risposta di chi lo accudisce è quella di una mamma stanca, che non ha aiuto e che dovrebbe fare tante cose e non riesce; se, dunque, non è una risposta serena e consolante, si può innescare un circolo vizioso disperante per mamma e bambino».

Come riconoscere il pianto del neonato da colica?

«Se dovessi dire qual è stato uno degli errori più grandi di noi pediatri, mi sento di affermare che è stato l’aver denominata “colica” l’irrequietezza spesso serale dei nostri cuccioli nei primi mesi di vita.

“Colica” fa pensare al mal di pancia; lo so che si dice che in questi casi il bambino tira su le gambe e manda aria; ma questa è la conseguenza del pianto che fa contrarre i muscoli addominali, mette in movimento l’intestino, che si libera dell’aria; non è la causa. Come dicevo prima il termine “colica” è sconosciuto nelle popolazioni che fasciano i loro bambini per i primi mesi di vita al corpo della mamma».

Ma se il piccolo è disturbato mentre ciuccia al seno e accenna un pianto cosa può voler dire?

«Potrebbe volere dire che la mamma ha un riflesso di eiezione del latte molto forte e gli dà fastidio; oppure che vuol cambiare posizione, oppure che vuol cambiare mammella perché da quella ormai ha preso tutto il latte grasso e adesso vuole quello più dolce che esce all’inizio della suzione; o che qualcosa nell’ambiente circostante gli sta dando fastidio; o che ha caldo; e potremmo continuare all’infinito perché non c’è “un perché”, ce ne potrebbero essere tanti».

Ma è possibile che per indole ci siano alcuni neonati irrequieti?

«I neonati vivono di riflesso al loro ambiente accudente. Tanto più ci sarà serenità, dolcezza, accoglienza in chi lo accudisce tanto più sarà sereno. I nostri cuccioli sono mammiferi prossimali, cioè hanno bisogno di tanta vicinanza e contatto sin dalla nascita.

La nostra società sta andando verso la direzione opposta, per cui l’allontanamento è visto come una difesa per evitare che prenda vizi. Il port enfant è il simbolo di questa cultura, la fascia il simbolo della cultura del contatto. Non si tratta di indole o di carattere del bambino; è l’ambiente che condiziona i comportamenti dei bambini».

Avere avuto una gravidanza più o meno serena può influire?

«Certamente. Il grembo materno è ambiente anche quello; un ambiente nel quale il bambino vive per tanti mesi e nel quale ascolta e percepisce movimenti e suoni. Tanto più sono sereni e coinvolgenti tanto più il bambino sarà tranquillo».

Il detto dei nostri nonni: “il pianto fa bene ai polmoni” è vero o è un falso mito?

«Penso che sia un concetto da buttare nel secchio dell’immondizia. Non rispondere ai bisogni dei bambini è un atto da condannare. Il bambino al quale non viene data una risposta accogliente ai suoi bisogni sarà un bambino che avrà livelli di ormoni dello stress (come il cortisolo) altissimi; aumenterà la frequenza respiratoria e cardiaca, avrà una saturazione d’ossigeno più bassa.

Sarà un bambino che col tempo si abituerà a non chiedere, perché sa che nessuno risponderà. Finirà per non fidarsi neppure dei suoi genitori, se lo strazio di non venire riconosciuto come soggetto sofferente entra nella sua routine giornaliera. Spero che questo detto finisca nel dimenticatoio».

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Lucia Porracciolo
Laureata in Scienze della comunicazione, fissata con il giornalismo e con i profumi. Da qualche anno mamma di Ester e di Clarissa. Dopo un’esperienza di stage a Tv 2000, e dopo aver lavorato per anni alle Acli a Roma, ho deciso di tornare in Sicilia. Nel 2012 mi sono trasferita a Palermo dove collaboro con Tele Giornale di Sicilia e Giornale di Sicilia. Qui ho conosciuto l'amore della mia vita, Sli, oggi mio marito. Papà stupendo. Quando si diventa genitori si scoprono le priorità della vita, il dono e la magia di vivere e far vivere.

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