Quando si parla del parto, il più delle volte, uno degli aspetti che per la donna riveste maggiore importanza è il dolore del parto. Se da un lato ci si può sentire affascinate dall’esperienza rivoluzionaria e intensa del parto, dall’altro si può provare tanta paura.
Questi due aspetti condizionano fortemente il modo in cui una donna si approccia all’evento della nascita: da un lato, desiderosa di incontrare il proprio bimbo, dall’altro, spaventata dall’incombente esperienza del dolore.
Il ruolo della cultura nell’esperienza dolorosa
Il modo in cui si vive e si affronta il dolore non è lo stesso in tutte le culture: rispettato e tollerato in alcune, demonizzato in altre, il dolore e il modo in cui lo si vive parla della nostra stessa società.
Se pensiamo alla nostra società, è facile osservare come sia sempre più forte il tentativo di raggiungere, in ogni situazione e a tutti i costi, il benessere. Ritmi incalzanti, poco o assente ascolto verso di sé, alla ricerca continua della perfezione, rifiuto del disagio, ricerca di un continuo stato di perfezione: siamo la manifestazione di una società che tende con più facilità a fuggire dalla sofferenza, piuttosto che ad affrontarla.
La nostra è una società che insegue l’ideale della “produzione”, che ricerca l’efficienza, dimenticandosi di quelli che sono gli aspetti primordiali della vita, dimenticandosi del contatto con la natura, del rispetto delle proprie ciclicità, dell’ascolto del proprio Io. Non si accetta la possibilità che il benessere possa alternarsi al disagio, in un equilibrio che rappresenta la vita, che è la vita.
Il dolore e il parto: da cosa ha origine?
L’origine del dolore è duplice: la prima nasce perifericamente, in quella parte del corpo che viene “sollecitata”, che è “sottoposta a minaccia”; la seconda ha sede nel cervello ed è profondamente condizionata dalla parte emozionale, affettiva, esperienziale, istintiva della persona.
Pertanto, il modo in cui una donna vive il dolore del parto è assolutamente specifico e individuale e dipende non solo dagli stimoli periferici e fisici, ma anche e soprattutto da quelli centrali, che quelli periferici vengono attivati.
Questo significa che il dolore percepito dalla donna non dipende solo da quanto il proprio corpo è sottoposto a sollecitazione, ma da come il proprio cervello, sulla base del proprio bagaglio personale, si approccia a questo dolore.
Componenti fisiche e psicologiche del dolore da parto
Nello specifico, cause fisiche del dolore del parto sono stiramento e microlacerazioni della parte inferiore dell’utero (collo) che va incontro a dilatazione, stiramento dei legamenti e annessi uterini, pressioni sulle articolazioni del bacino, distensione e stiramento del perineo (specialmente nella fase finale del parto).
Fattori psicologici del dolore del parto sono, invece, quelli legati al condizionamento culturale e alle esperienze personali. In una cultura che svalorizza l’evento nascita e che vede la donna come passiva, il condizionamento è così forte da far credere alla donna che il dolore del parto sia fine a se stesso e che l’intero potere del parto sia nelle mani non della donna ma degli operatori che “agiscono per aiutare il parto”.
Ogni madre sa partorire e il dolore preannuncia il momento più bello della vita di una donna, che possiede in sé gli strumenti per affrontare la sofferenza: la partoriente, se messa nelle condizioni di ascolto di sé e del proprio corpo, può e sa fare del dolore uno strumento-guida nell’evento nascita.
Le esperienze personali di dolore, le esperienze delle persone vicine, i racconti, la propria nascita, i propri vissuti sono tutti determinanti nel modo in cui una donna si approccia al dolore del parto. Ecco che risulta fondamentale lavorare su di sé, sul proprio vissuto, sul modo di vivere il dolore per arrivare al parto con ulteriori strumenti che possano rendere “utile” la sensazione dolorifica.
Tale consapevolezza non vuole portare a una rassegnazione passiva, ma a una positiva accettazione: non a caso, le donne che soffrono maggiormente sono quelle che cercano di reprimere il dolore; accettare il dolore, farne strumento diminuisce la sofferenza e dà una maggiore soddisfazione. E questa accettazione richiede inevitabilmente un lavoro su di sé, necessita di tempo e strumenti, ma riesce a potenziare le risorse ìnsite nella donna.
Il dolore e le sue risposte
La nostra società, con troppa facilità, tende a etichettare le partorienti, dando l’immagine delle brava partoriente a chi “riesce a non urlare, a non lamentarsi”. Partendo dal presupposto che non esiste una brava o cattiva partoriente, è bene soffermarsi sui meccanismi originati dal dolore.
Il dolore dà inevitabilmente delle risposte che coinvolgono sia i sistemi motori, che quelli verbali e neurovegetativi. Questo fa sì che la donna, durante il parto, se lasciata libera di esprimersi, assuma dei comportamenti dettati dall’istinto: in conseguenza a ciò, sente la spinta a un movimento libero e continuo e all’utilizzo della voce.
Queste risposte sono potenti e liberatorie nella misura in cui vengono assecondate: ciò significa che lasciare che la donna si esprima in tutta quello che è il proprio istinto, facilita il parto e inibisce le sensazioni di dolore.
Pausa e contrazione: equilibrio perfetto
Ciò che permette al corpo di tollerare il dolore del parto è l’intermittenza: il dolore, infatti, non è continuo, ma è intervallato da pause.
La pausa è fondamentale tanto quanto la contrazione (e il dolore): entrambi gli aspetti, se perfettamente in equilibrio, garantiscono una naturale evoluzione del travaglio e del parto.
Se la donna, durante la pausa, riesce a rilassarsi completamente, se mantiene una lunga espirazione durante la contrazione, se riesce a seguire ciò che il corpo le suggerisce, i messaggi che arrivano al suo cervello non sono di allarme ma di calma: è questo che permette al corpo di “aprirsi” e dar spazio alla vita.
L’intermittenza del dolore è fondamentale per la cascata ormonale ad essa legata: il dolore continuo comporterebbe uno stress eccessivo per il corpo, con conseguente diminuzione dell’ossitocina (fondamentale per l’evolversi del travaglio); il dolore a intermittente fa sì, invece, che l’ossitocina venga stimolata, garantendo il progredire del travaglio, e che le endorfine (legate a una diminuzione della percezione del dolore e alla facilitazione di uno stato di abbandono al proprio io, che favorisce l’apertura e la dilatazione) vengano prodotte in quantità .
Dobbiamo riscoprirci e reimparare
C’è tanto bisogno di ritornare ad ascoltarci, di apprezzare la ciclicità, di lasciare che le sensazioni scorrano.
Prepararsi al parto è anche e soprattutto questo: apprezzare l’equilibrio tra gli opposti, riscoprire e valorizzare il dolore del parto, lavorare sugli strumenti interiori, riscoprirsi potenti, sentire la saggezza del proprio corpo.
Farsi guidare dal dolore e trasformarlo in strumento di contatto col proprio corpo e col proprio bimbo: questo è possibile. Parlare della paura del dolore è il primo passo per riconoscere tale paura e per trasformarla in maggiore consapevolezza: conoscere, affrontare anziché fuggire!