Da trent’anni Maria Teresa Braidot fa nascere i bambini in casa: «Conosco le gestanti al terzo mese di gravidanza, si crea un rapporto di sincera fiducia. I rischi? Gli stessi che ci sono in ospedale»
Maria Teresa Braidot è l’ostetrica che ha fatto nascere Elettra, figlia di Anna. L’ostetrica è in pensione da 6 anni e fa parte di un’associazione che sta accanto alle mamme, supportandole dalla gravidanza al parto.
Ricorda benissimo la sua prima esperienza a casa, 30 anni fa per aiutare a nascere Stefano.
Secondo lei perché alcune donne scelgono di partorire in casa?
«Le mamme vogliono avere intimità e, in questo senso, la casa è il luogo per eccellenza, ricco di serenità. In queste condizioni è più facile gestire il proprio corpo, c’è privacy, una delle cose di cui la partoriente ha più bisogno. In più nel parto domiciliare si conosce bene l’ostetrica e si crea un rapporto vero e forte.
In ospedale i bimbi nascono con i medici di turno, senza voler loro togliere nulla. A me piace rispettare i tempi della mamma e poi non utilizzo farmaci, però monitoro il battito del bimbo. Inoltre uso tisane rilassanti ed energiche e faccio massaggi».
Emotivamente cosa accade, il bimbo riconosce l’ambiente dove la mamma lo ha tenuto in grembo?
«Credo proprio di sì e me lo confermano le mamme. Alcune le vedo anche adesso e ricordo benissimo il primo bambino che ho fatto nascere in casa, ha trent’anni e si chiama Stefano.
Chi ha avuto le due esperienze, ovvero il parto in ospedale e quello in casa, dice che con il figlio fatto nascere nel proprio nido si crea un rapporto diverso. È come se il bambino venisse accolto in altro modo e riconosce l’ambiente familiare».
Come avviene l’approccio con la mamma e che tipo di preparazione serve?
«Il primo incontro è sempre una chiacchierata, e preferisco incontrare la coppia nella propria casa, così posso vedere l’ambiente, sento il clima che si respira, scopro il rapporto tra lui e lei, e riconosco facilmente se il marito sostiene la scelta della moglie oppure no.
Il sostegno del papà è importantissimo.
In genere mi piace conoscere le gestanti al terzo mese di gravidanza, non all’ultimo momento. Dobbiamo creare insieme un sincero rapporto di fiducia.
Si può partorire sul letto, in poltrona, accovacciate per terra, è una scelta personale. Ribadisco sempre che le mamme sono serene e avviene tutto in modo naturale. In realtà serve ben poco: una banale cerata, lenzuola vecchie, asciugamani e adeguato riscaldamento. E poi, per partorire in casa, direi con fermezza che serve la volontà».
L’ambiente non deve essere sterile?
«Di certo occorre una pulizia precisa, ma non necessariamente la sterilizzazione dell’ambiente, in quanto il neonato sta sempre sul petto della mamma e così va avanti per i primi giorni.
È chiaro che al momento della nascita non devono esserci cani o gatti in giro. È la mamma col suo calore che gestisce il bambino, l’igiene deve essere sua».
Quali sono i rischi del parto a casa?
«Ci sono gli stessi rischi del parto in ospedale. Se non mi piace come procede il travaglio, io vado subito in una struttura sanitaria, per questo è necessario avere sempre un aggancio con l’esterno.
Ci si mette in auto ancor prima dell’emergenza vera e propria, così si ha tutto il tempo di gestirla.
In genere le mamme mi chiamano alla prima avvisaglia e durante il travaglio sto con loro o, comunque, se capisco che serve altro tempo rimango nei dintorni».
Si ricorre sempre a ostetriche private o il parto in casa è possibile anche grazie al servizio pubblico?
«Dipende dalla Regione. In Toscana, Emilia Romagna e Lombardia ci sono ostetriche che lavorano in centri sanitari e lasciano temporaneamente le strutture per seguire in prima persona i parti a domicilio».
Situazioni previste dalla legge?
«Si, ma applicate solo in alcune Regioni che danno un contributo. Al Sud non c’è niente del genere, come anche in Friuli Venezia Giulia e in Veneto».
Quali sono i costi che una coppia deve sostenere?
«Ci sono parcelle da 2.500 euro, ma a livello nazionale si può arrivare anche a 4.000. Io faccio parte di un’associazione di ascolto per le mamme e preferisco andare incontro alle possibilità della famiglia».
Perché nel nord Europa è una pratica molto più diffusa rispetto all’Italia?
«Beh, credo che si tratti di un problema culturale. Nei Paesi nordici, penso ad esempio alla Norvegia, c’è una cultura diversa. Le donne e le coppie credono molto di più nelle proprie capacità e sul tema sono maggiori informazione e sensibilizzazione».